“La Tenerezza di Dio” il mosaico di Marko Ivan Rupnik s.j. nel giorno della dedicazione

TESTO INTEGRALE DELL’INCONTRO CON PADRE MARKO IVAN RUPNIK

24 ottobre 2016
Università del Sacro Cuore, Roma

Quando mi è stato chiesto di pensare a questo mosaico, visitando l’ospedale, ho fatto come faccio sempre quando mi trovo in un posto dove poi si deve trovare un mio mosaico, cioè cerco di entrare nello spazio totalmente libero, non avere nessun desiderio per me e nessun interesse per me. Perché quando un uomo è libero e dà sé stesso, Dio gli può parlare. E normalmente la prima immagine che mi sorge, è quella che poi rimane anche se dieci commissioni si scagliano su di me. Perché proprio come dicono gli antichi padri, quello è ispirazione dello spirito. Perché lo spirito di Dio cerca donne e uomini liberi, ed è proprio questo difficile da trovare. Ma io comincio sempre in questo modo. Anche i padri spirituali iniziavano sempre così nei colloqui. Se i padri sentivano qualcuno parlare dicevano: cerca di essere libero, di non avere un’idea su quella persona, un’attesa, un desiderio, un interesse. E quando ascolti il primo pensiero che ti viene lo dici. La persona davanti a te il più delle volte rimane sconvolta e dice: come è possibile, è quello che cercavo. La prima immagine che mi è venuta è quella della Madonna di Vladimir. È un modulo misto di due modelli iconografici: la cosiddetta Madonna della strada, che è la Madonna che tiene il bambino, la cui mano indica la via che è il logos, verbo, il figlio fattosi uomo, e la Madonna della tenerezza, che è un modulo slavo, russo piuttosto che greco dove il bambino arriva con la manina dall’altro lato della Madonna per farle un gesto di tenerezza (di solito si ferma sul collo). Questa Madonna di Vladimir l’ho scelta si perché parlava di tenerezza ma anche perché il nesso che mi è venuto in quell’istante è stato che l’hanno fatto i bizantini di Costantinopoli e l’han dato al grande principe di Kiev nel 1131 circa. Immediatamente questa madonna ha iniziato a fare segni di grande presenza di grazia perché al grande assalto di popolazioni asiatiche a Vladimir nel 1155, la città si è stretta intorno a questa madonna e solo questo luogo ha resistito. Tanto che poi due o tre secoli, nel 1395, più tardi quando i Mongoli fanno un assalto su Mosca, i cristiani hanno portato questa Madonna da Vladimir a Mosca e si è salvata. E così per altri 3 assalti. Tanto che si afferma anche se non ci sono documenti, ma io non mi stupirei se ne trovassero un giorno, che persino Stalin, nell’ultimo assalto tedesco su Mosca, ha fatto fare un giro su un areo militare dell’icona su tutta Mosca. E infatti tre giorni dopo l’esercito tedesco è crollato davanti a Mosca. Perché dico questo? Perché penso che le immagini sacre, se sono pregate e se sono fatte nel modo della chiesa, cioè nella carità, sono convinto che racchiudono una presenza. E ne sono sicuro anche per la vostra. Voi mi potreste chiedere come faccio ad esserne sicuro totalmente. Perché vedete noi che l’abbiamo fatto siamo anche noi un mosaico. Siamo di 14 nazioni noi artisti, di tradizioni bizantina e latina. Siamo di tante tradizioni diverse, caratteri diversi. Poi voi sapete che se metti tre artisti insieme tutti vogliono essere i più grandi. Invece io vi assicuro che questo mosaico è stato fatto con una gioia di essere insieme e di volersi bene. E voi sapete che per noi cristiani, dove c’è la carità, lì c’è Dio. Perciò io sono convinto che essendo stata fatta quest’opera nella carità, nell’amicizia, veramente nella comunione, lì c’è Dio. L’unico posto dove possiamo trovare Dio è la carità. Tanto è vero che un grande teologo dice: “Vuoi vedere Dio? Guarda il volto di uno che ti sta dando un pezzo di pane.”
Questa era la prima cosa che volevo dire.
La seconda è che volevo indicare alcune caratteristiche di questa immagine di Vladimir.
La Madonna ha un velo di tristezza sul volto. È un volto dove prevale una tristezza. Ma deve essere una tristezza che tu non puoi immediatamente descrivere perché non deve essere solo psicologico (e vi garantisco che non è facile esprimerla), noi cercavamo di dare questo velo di tristezza sul velo. Perché? Ci sono vari motivi. Il più profondo è questo. Dopo che è arrivato il peccato nel mondo, sta scritto, che la donna partorirà nel dolore. Non si pensa qui semplicemente alle doglie del parto che sono dolorose, ma si pensa alla maternità come tale. La vita dell’uomo sarà legata al dolore. Questo è il significato di questa frase. Già antichi padri dicevano che la vita dell’uomo sarà legata al dolore. E la donna che da la vita, è colei che è più cosciente che la persona che sta generando sarà legata al dolore. Dice Malachia, nel secondo capitolo: “non ti separare dalla donna, perché io Dio, ho dato alla donna il soffio vitale. Se ti separi muori”. La donna è portatrice della vita, nella Sacra Scrittura, ma la vita è destinata a morire, dopo il peccato. Eva partorisce i figli con certezza che moriranno tutti. La lettera agli ebrei fa vedere Cristo come figlio di Dio, che si è totalmente, integralmente unito al destino dell’uomo tanto che viene detto che tutto ciò che l’uomo prova, lui l’ha provato personalmente. Ha vissuto tutto quello che riguarda il destino dell’uomo. Tanto che nella lettera agli ebrei viene detta una cosa che veramente stupisce: che la liturgia di Cristo era fatta con forte grida, urla e lacrime. Grandi esperti dicono che non esiste nessun esempio dentro e fuori dalla Bibbia di liturgia fatta con forte urla e lacrime, perché? Per la paura della morte. Perché questo è il destino dell’uomo.
Vedete, la Madonna è triste perché nel figliolo vede il destino di ogni uomo, cioè della sua passione e della morte. E allora diventa interessante la cosa. Siccome lui è figlio di Dio, e lei gli ha dato la carne affinché Dio potesse diventare uomo; con questa apertura sua, Dio è potuto diventare contenuto della sua umanità. Un grande russo dice: “L’unica vera realtà che può diventare contenuto dell’umanità è solo la divinità, altrimenti l’umanità è destinata a morire”. E in Maria la divinità prende contenuto. Tanto è vero che la sua carne, il suo corpo è diventato il corpo del figlio di Dio. La Madonna ha accolto come contenuto della sua vita, in sé stessa il contenuto di Dio. Non ha fatto come ogni uomo il cui contenuto è la sua vita e sé stesso. No. Quando Dio diventa il contenuto della vita allora succede una cosa grossa, perché vedete il contenuto della vita è legato al suo corpo. Questo voi lo sapete bene amici miei. E il corpo dell’uomo è un albero che sta morendo. Tanto è vero che quando è giovane è flessibile e fragile. Quando si indurisce, è prossimo alla morte. Così è l’albero, così è l’uomo. Ma guarda quanto è bello adesso. In questo passaggio il corpo non è più simile ad un albero, ma simile ad un seme, un chicco di grano. C’è differenza. Perché il chicco di grano muore e germoglia. Il corpo dell’uomo non è più destinato a morire, ma a germogliare.

Inaugurazione Mosaico “La Tenerezza di Dio” al Gemelli ART (da sinistra Prof. Vincenzo Valentini, S.E.Claudio Giuliodori, Ing. Enrico Zampedri, Prof.ssa Chardonnay Librandi, Padre Marco RUPNIK s.j.)

Questo è il passaggio. Pochi giorni fa ho celebrato un funerale e ho chiesto: qualcuno chiede che questa bara sia questa persona (e ho detto nome e cognome di questa persona)? Tutti mi han fatto cenno di no. No, esatto, non siamo così crudeli da seppellire le persone. Noi seppelliamo il guscio perché questa signora già germoglia. Tutto quello che era seme muore e germoglia. Il germoglio esce dal guscio. Per gli antichi padri questo è il senso del corpo umano dopo che Cristo si è incarnato. Noi possiamo dal nostro corpo fare un germoglio nella vita di Dio e il guscio rimane, la persona passa nel germoglio. Perché tutto quello che era seme passa nel germoglio. Questo è il passaggio. Perciò la Madonna è triste perché contempla il figlio in tutto quello che è il suo destino, ma è il figlio che la consola. Guardate i piedi. Normalmente nell’iconografia la Madonna viene fatta come Madonna della scala dove Cristo scende attraverso le sue mani nel mondo. Qui invece sta facendo una scalata Gesù, a cosa? Alla madre. Lui come figlio suo, di Dio e suo, sale per sussurrarle qualcosa che lei non ha ancora mai sentito. Cosa? Che la sua carne già germoglia perché è Lui. E la sua carne non putrefarà nella terra, e la Madonna neanche lei, perché la persona sale e non scende. E guardate cosa guarda il figlio. Nel primo disegno, l’ho disegnato che guarda la Madonna, poi l’ho corretto e ho detto: no ho sbagliato. Lui guarda il padre. Lui sta salendo attraverso la Madonna al Padre. E le sta sussurrando alla Madonna qualcosa che io non vi voglio dire. Anche perché sta ad ognuno che passa di lì percepirlo, specialmente se la carne è sua, che possa sentire cosa il figlio sta dicendo alla madre. Perché di lì passano tante madri, con figli in situazioni drammatiche. Cosa questi figli vorrebbero dire alla madre? L’ha detto lui. Ci sono certe parole che si sentono ma non si pronunciano. Tanto che una simile immagine noi troviamo di Maria sotto la croce, dove Gesù le da l’ultimo insegnamento sulla sapienza della croce. Cosa le sussurra non lo voglio dire. Ma voglio indicare la porta dove sta scritto cosa le sussurra. Qual è quella stanza? Che da quando Dio è diventato contenuto della nostra vita, noi possiamo vivere da dono, da chi si dona, fare della propria vita un’offerta. E chi si avvolge nell’amore, anche se muore vivrà. Perché tutto passa, solo l’amore rimane. Noi possiamo germogliare perché abbiamo la vita che può fare di sé un dono. Nell’ultimo attimo della coscienza umana, nello spirito nostro, ognuno ha la possibilità di fare di sé un dono, un’offerta, nel figlio che è l’unica offerta a Dio gradita. E potete immaginare quanto questo è profondo. Quando lo si sente così non lo si capisce, ma quando si è feriti e si percepisci che si sta andando verso un declino, è importante perché non esiste nessuna situazione umana che ci costringe a crepare. Ogni situazione può diventare il morire, come il dono per qualcuno. E questo cambia. E perciò lui asciuga quella lacrima, non ci saranno più lacrime. Se la vita che noi riceviamo è quella di figlio, che possiamo diventare dono, possiamo vivere come offerta, come un chicco di grano che germoglia, allora è evidente che Dio che ci consola e non noi a consolare Dio.

Per cui non troveremo mai nell’Oriente cristiano una Madonna che consola il figlio, questo può nascere in Occidente nel barocco, ma non siamo noi a consolare Dio evidentemente, è Lui che prende la nostra situazione su di sé. Allora rimane ancora una questione. Allora uno va e prega. Eppure molte volte uno sente che non serve a niente perché non succede niente, anche dopo che hai pregato tanto. Qualche domenica fa c’era un brano di Luca dove viene detto da Gesù la necessità di pregare sempre, senza stancarsi. Allora quando uno sperimenta il declino umano, la fragilità umana, e ci sembra di mancare il contenuto di questa umanità, allora uno prega e non succede niente tante volte. Allora perché Cristo dice di pregare sempre, senza stancarsi. Se noi leggiamo in greco, nel testo greco del Vangelo, si capisce un po’ meglio perché (*enchein) ενκειν, che viene tradotto “senza stancarsi”, se noi guardiamo i paralleli dentro il Nuovo Testamento, per esempio Paolo agli Efesini 3,13, ai Corinzi 4,1; 4,16, ai Galati 6,9, sono paralleli che ci fanno immediatamente capire che non vuol dire quello che è tradotto qui, ma viene tradotto diversamente. Viene tradotto: non scoraggiarsi, non perdersi d’animo. Perché sembra che bisogna pregare senza stancarsi. No, no. Serve pregare perché se non preghi, ti perdi d’animo, ti scoraggi nella situazione in cui ti trovi. Non scoraggiarti a pregare nella situazione nella quale ti trovi. Cioè pregare sempre se no la situazione in cui ti trovi ci fa diventare cattivi. Tanto è vero che la donna che chiedeva al giudice, chiedeva perché aveva subito un’ingiustizia. Se questa donna non viene esaudita, quale rischio c’è? Che se la fa da sola, e come la farà? Come fa il mondo, diventerà cattiva, violenta. Tanto che dei traduttori hanno tradotto così: pregare sempre, senza diventare cattivi. Per non incattivirsi, perché la situazione in cui ti trovi è drammatica. Non è che uno va a pregare prima di un esame, quello deve studiare. Non serve accendere una candela, accendi il cervello. Ma quando la situazione diventa dura e tu subisci delle cose e sei credente ti rivolgi al Signore, ti rivolgi alla madre perché lei capisce, la madre capisce. Allora ti rivolgi con la preghiera. Perché bisogna insistere? Perché se io non prego, faccio da solo. E voi sapete come fa l’uomo da solo: male. Faccio da solo secondo me, fai da solo secondo il mondo. Allora entri nel male del mondo, nella logica del mondo. È importante per noi cristiani insistere nella preghiera. Che non vuol dire essere testardi, ma avere un colloquio aperto, come tra loro due (Madonna e Gesù). Vedi come le si stringe su per parlarle? Per avere un colloquio. La preghiera significa vincere la solitudine, comprendere sé stesso con l’altro, con Cristo, vedere sé stesso insieme all’altro. Questa è una preghiera. Allora io gli parlo, gli continuo a parlare, perché se no rischio di incattivirmi, di diventare cattivo, di diventare duro, di deprimermi, di abbandonarmi alle passioni perché ho mollato tutto. E no. È il colloquio che mi tiene, è la compagnia che mi tiene nel bene. Se sto con gente buona, rischio di diventare buono.

L’ultima cosa, verso la fine del brano, siamo nel capitolo 18 di Luca, viene detto “Avete udito ciò che ha detto il giudice disonesto?”. Anche qui il greco è simpatico, dice: questa mi sta colpendo continuamente e rischia di fare male alla mia immagine nelle prossime elezioni, allora io me la faccio buona così lei parlerà bene di me”. Questo è il motivo per cui lei molla. “E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà a lungo aspettare?” No. In greco si legge: con sorpresa, improvvisamente li farà giustizia. Però tutta la parabola cosa fa vedere? Che comunque c’è un enorme scarto tra la nostra preghiera e la risposta di Dio. Dio arriva sempre in ritardo sulla nostra supplica. C’è un ritardo permanente che per i padri della chiesa è fondamentale. Ho trovato un testo dove un padre dice: “Questo ritardo di Dio (noi lo percepiamo ritardo. Io chiedo una cosa e non arriva e la situazione peggiora) è una tenerezza di Dio verso di noi”. Perché? Perché ci da un’altra occasione affinché noi possiamo fare un passo verso di Lui. Quale passo? Di accogliere la giustizia secondo il giusto, non secondo la mia visione, di accogliere la sua visione. Vedi che anche lì, Maria dovrà accogliere la visione del figlio e non viceversa. E Maria si doveva convertire, Maria si è convertita più volte nella vita, perché aveva un pensiero e poi il figlio le faceva scoprire ancora oltre e ancora oltre. Convertire vuol dire vedere oltre. E questo ritardo di Dio sulle nostre preghiere è questa occasione che noi accogliamo e non ci intestardiamo. E accogliendo si scopre che Dio fa, e fa bene e fa giusto, ma non secondo il mio calcolo. Chi ha già i capelli un po’ bianchi o chi non ce li ha più: quante volte nella vita abbiamo ringraziato Dio che non è andata secondo i nostri desideri o propositi? Abbiamo scoperto che è stato un disegno provvidenziale, vero o no? Questo è quel tempo che Dio ci da che sta tardando, che non arriva subito, ed è preziosissimo, perché noi abbiamo fretta. Un padre della chiesa racconta che un suo discepolo gli ha chiesto cos’era peccato e lui rispose: la fretta. Dio ci fa tardare. Per quale motivo? Per arrivare preparati all’appuntamento. Tanto è vero che lui dice: ma quando verrà il figlio troverà fede? Troverà qualcuno che lo accoglierà? Che accoglierà lui? O tutti insistiamo sulle nostre idee? Troverà qualcuno che lo accoglierà? Perché lui sta andando a Gerusalemme dove ci sarà la passione e non è riuscito, sin dall’undicesimo capito a convincere nessuno nel senso della sua donazione, del suo dono, del suo fallimento agli occhi del mondo. Troverà qualcuno? Noi preghiamo per questo motivo: per essere pronti all’appuntamento. E Dio ci fa tardare perché ci fa preparare ad essere in grado di accogliere. La fede non è conquista, è accoglienza.

Grazie

Padre Marko Rupnik

Uno ringraziamento speciale al Centro Aletti.

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