Una nuova tecnica di radioterapia interventistica, conosciuta anche come brachiterapia, è stata messa a punto nell’ambito di una collaborazione multidisciplinare tra il Policlinico Universitario Agostino Gemelli e l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari. Eccellenti i risultati oncologici ed estetici, senza danno alla funzionalità del naso.
La diagnosi di un tumore al naso non è solamente un problema sanitario, ma anche un possibile motivo di disagio sociale per il paziente a causa delle conseguenze estetiche. Fino ad oggi, infatti, queste neoplasie venivano spesso curate chirurgicamente con un approccio demolitivo – quindi con la rimozione di una parte dell’organo, spesso impossibile da ricostruire chirurgicamente con esiti soddisfacenti – con immaginabili ripercussioni anche sul fronte funzionale e psicologico. Recentemente, sono stati invece pubblicati i risultati di una nuova tecnica di radioterapia, che vede coinvolti in equipe oncologi radioterapisti interventisti e chirurghi otorinolaringoiatri. Questa tecnica è stata sviluppata nell’ambito di un progetto scientifico tra la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma e l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari.
Radioterapia interventistica per i tumori al naso
La radioterapia interventistica, conosciuta anche come brachiterapia, cioè il trattamento delle neoplasie direttamente con sorgenti radioattive poste all’interno o a contatto con il tumore, era una tecnica molto diffusa nel ‘900 che però, a causa di una serie di problematiche legate agli effetti collaterali e alla radio-protezione, era stata progressivamente abbandonata. Tuttavia, negli ultimi anni, grazie ad importanti miglioramenti in campo tecnologico che hanno permesso una terapia ad intensità modulata guidata dalle immagini e quindi estremante precisa, è tornata alla ribalta in tutto il mondo.
Diverse sono le applicazioni di questa radioterapia interventistica in oncologia, compresa l’area testa-collo. In particolare, si sta rivelando molto utile per i tumori del vestibolo nasale, che in passato venivano curati con la rimozione chirurgica di una parte del naso. E’ quanto è stato dimostrato in una recente ricerca del centro di Radioterapia Oncologica (noto anche come Gemelli ART – Advanced Radiation Therapy) del Dipartimento di Diagnostica per Immagini, Radioterapia Oncologica ed Ematologia del Policlinico Gemelli di Roma, diretto dal prof. Vincenzo Valentini, in collaborazione con la clinica di Otorinolaringoiatria dello stesso policlinico, diretta dal prof. Gaetano Paludetti, e quella dell’Università di Sassari, il cui direttore è il prof. Francesco Bussu.
Sono stati trattati numerosi pazienti, con risultati eccellenti non solo in ambito oncologico, ma anche per la loro vita sociale. “Un intervento chirurgico al naso, un organo così esposto e visibile, può determinare gravi ripercussioni sul fronte estetico e quindi psicologico per il paziente”, spiega il dott. Luca Tagliaferri, responsabile del Centro di Oncologia Interventistica del Gemelli ART e radioterapista interventista referente del progetto. “Questa tecnica minimamente invasiva, invece, si è rivelata non solo ‘organ and function sparing’ perché preserva l’organo e la sua funzionalità, ma anche ‘image sparing’ perché consente di non modificare l’immagine del volto del paziente e ne preserva così i rapporti sociali e la qualità della vita”.
Lo studio su una rivista internazionale
I buoni risultati dei trattamenti con questa tecnica, “riscoperta” grazie ai progressi della tecnologia e realizzati a Roma nei mesi scorsi presso il Gemelli ART, sono stati illustrati in uno studio pubblicato recentemente sulla rivista scientifica internazionale “Journal of Contemporary Brachitherapy” (https://www.termedia.pl/Interventional-radiotherapy-as-exclusive-treatment-for-primary-nasal-vestibule-cancer-single-institution-experience,54,42241,0,1.html). In pratica, ogni intervento vede la partecipazione di un’equipe multidisciplinare formata da chirurghi otorinolaringoiatri e da radioterapisti oncologi. “L’innovazione consiste nel fatto che, per accedere all’area tumorale nel vestibolo nasale, i cateteri che veicolano la sorgente radioattiva utilizzano gli stessi piani anatomici degli interventi chirurgici per la rinoplastica”, sottolinea il prof. Francesco Bussu, referente otorinolaringoiatra del progetto. “Anche negli interventi estetici viene infatti operato uno scollamento ed una preservazione delle cartilagini, che rimangono quindi capaci di resistere ad alte dosi di radioterapia che invece uccidono le cellule tumorali”.
In Italia, ogni anno vengono diagnosticati circa 10mila casi di tumori nell’area testa-collo, di cui l’1,5-2% riguardano i vestiboli nasali. Dunque, sono almeno 200 casi all’anno. “Probabilmente, sono molti di più, stimerei 400 all’anno”, precisa il prof. Bussu, “perché c’è un problema di classificazione: spessissimo le neoplasie dei vestiboli nasali vengono raggruppate tra i tumori delle cavità nasali e paranasali e non classificate in maniera specifica. Secondo noi, è necessario rivedere la classificazione internazionale di questi tumori maligni per favorire una diagnosi appropriata e quindi anche la corretta terapia”.
Esportare la nuova tecnica
Il prossimo obiettivo di questa esperienza è di esportare questa tecnica presso altre strutture sanitarie che abbiano a disposizione la stessa tecnologia. A questo scopo, saranno avviati, nell’ambito del progetto formativo in radioterapia interventistica del Gemelli ART – Centro di Oncologia Interventistica, corsi specifici presso la scuola INTERACTS (Interventional Radiotherapy Active Teaching School) (http://www.gemelliart.it/interacts/). E’ stato anche istituito un Master in Oncologia Interventistica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. “Adesso che abbiamo confermato che questa tecnica consente dei risultati eccellenti”, aggiunge il prof. Bussu, “l’orientamento è di diffondere questo messaggio ai colleghi chirurghi, in modo che possano acquisire la necessaria esperienza in sala operatoria ed avviare nuove realtà di collaborazione con i colleghi oncologi radioterapisti anche presso le proprie istituzioni”.